Carte prepagate ed ISEE in Italia: facciamo chiarezza

Pubblicato il 14 Ottobre, 2024

Ai fini ISEE e nello specifico al patrimonio ISEE, se possediamo carte prepagate con IBAN, essendo assimilate al conto corrente non si pone il problema di doverle dichiarare. Ma cosa accade per quelle senza IBAN? Come vanno gestite?

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Carta prepagata su ISEE: come si inserisce?

I titolari della carta prepagata devono inserirla ai fini ISEE nella documentazione, poiché, dal momento in cui si procede con la dichiarazione dei redditi, al 31 dicembre va disposto il saldo anche di tutte le prepagate disponibili. Gestire correttamente l’inserimento prevede per le carte prepagate con IBAN l’inserimento del codice 01, dato che sono assimilare ai conti correnti, mentre per le prepagate semplici va inserito il codice 99, quello riguardante altri strumenti e rapporti finanziari. Le prepagate con IBAN e senza si distinguono quindi per i valori di giacenza media e saldo.

Quando dichiarare le carte prepagate?

Il momento giusto per dichiarare le proprie carte prepagate è durante la dichiarazione dei redditi. Anche per le carte prepagate così come per un conto corrente bancario o postale, il saldo presente,va indicato in data 31 dicembre dell’anno precedente a quello della dichiarazione. Per le carte prepagate con IBAN, va inserito anche il valore della giacenza media.

Questo perchè la disciplina tributaria ha sancito che anche le carte prepagate (indipendentemente dal fatto che possano avere o no un Iban correlato) facciano  parte dei possedimenti mobiliari di un nucleo familiare, quindi dichiarati al pari di tutti gli altri titoli o strumenti finanziari.

Come trovare la giacenza media di una carta prepagata?

A differenza di una semplice prepagata, la carta prepagata con IBAN, necessita di una gestione differente, in fase di DSU, poichè, come detto, richiede la comunicazione della giacenza media annuale ed il saldo al 31 dicembre. La giacenza media indica quanti sono nell’arco di un anno i soldi che hanno transitato sul conto corrente,. Ovviamente, ci possono essere mesi più “ricchi” e più “poveri”, per cui si prende come riferimento solo il valore medio in un anno.

Per procedere col calcolo corretto, vanno sommate tutte le giacenze di ogni singolo giorno dell’anno solare, per poi dividere il totale per 365; vista la complessità del calcolo lo effettuano direttamente gli istituti che rilasciano,appunto una certificazione volta a comunicare tali dati ufficialmente.

Questo significa che maggiore è l’importo presente sul conto, più elevato risulta il valore della giacenza media. Questa somma è considerata come parte dei beni mobili e influisce anche sul calcolo dell’ISEE. Inoltre, per quanto riguarda i risparmi, se l’ammontare supera i 5.000€, è necessario pagare anche l’imposta patrimoniale.

Come si può ridurre concretamente la giacenza media?

Esistono tre metodi pienamente legali. Il primo, piuttosto conosciuto, consiste nel “sdoppiare” il conto cointestandolo con un’altra persona. È importante notare che questa persona non deve appartenere al nucleo familiare, perché nel caso in cui risieda sotto lo stesso stato di famiglia, il suo accesso a quei fondi verrà considerato ai fini ISEE. Il co-intestatario dovrebbe quindi essere qualcuno che vive altrove, come un fratello, una sorella, un nonno o un nipote.

Il secondo metodo prevede l’emissione di un assegno circolare, che consente di “trasferire” le somme dal conto all’assegno (che ovviamente deve essere intestato a una persona fidata). L’assegno rimane nelle mani del titolare fino a un massimo di tre anni, entro il quale si deve richiedere il rimborso.

Infine, il terzo metodo riguarda l’apertura di ulteriori conti correnti. Anche in questo caso, non ha senso suddividere la somma con la propria moglie o aprire più conti a proprio nome per ridurre la giacenza media, ma ha utilità al fine di evitare il pagamento dell’imposta di bollo patrimoniale, che ammonta a 34,20 euro all’anno e si applica quando la giacenza media supera i 5.000€. Pertanto, distribuendo i risparmi su più conti, si può evitare questo costo, tenendo però presente le eventuali spese di gestione per i nuovi conti.

Investire rappresenta un’altra strategia per ridurre la giacenza media sul conto corrente e, allo stesso tempo, escludere il pagamento della patrimoniale, ma non contribuisce a diminuire il valore dell’ISEE.

Ho dimenticato di dichiarare una carta prepagata: cosa succede?

L’ISEE rende impossibile nascondere i soldi; infatti, per mezzo dell’anagrafe tributaria, ogni rapporto finanziario di un individuo va rintracciato; ciò comporta che chi ha una prepagata intestata a proprio nome, il fisco ne è a conoscenza e si aspetta di trovarla inserita nell’ISEE del nucleo familiare. Più è basso il valore dell’indicatore ISEE, più si riesce ad avere, a sostegno del reddito, agevolazioni e prestazioni sociali.

Con questo controllo incrociato dei dati si ottiene il quadro della completa situazione patrimoniale e reddituale della famiglia, inclusi i conti correnti bancari e postali, carte prepagate senza IBAN o provviste di IBAN, libretti postali e tutto quello che rientra negli strumenti finanziari e nei titoli ed obbligazioni di cui si dispone.

Se si dimentica di dichiarare nell’ISEE una carta prepagata, si abbassa l’indice dell’indicatore ed il sistema segnala questa irregolarità a monte,anche se il saldo della carta è negativo o a zero. Omettere questo genere di informazioni, se si ricevono agevolazioni, può costare caro: si può rischiare infatti una sanzione equivalente ad un importo pari tre volte l’agevolazione ricevuta in funzione del falso ISEE, compresa tra 5.164 euro e 25.822 euro.

Concludendo …

La risposta al quesito posto all’inizio è dunque affermativa. Ai fini ISEE, è perciò indispensabile inserire sia le carte prepagate con IBAN che quelle senza IBAN. Puoi inoltre visionare la nostra classifica relativa alle carte prepagate più convenienti.

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